Alessandra Vitullo
Professore all’università di Montreal, Fabrizio Vecoli è stato il primo in Italia a dedicare un testo, La religioni ai tempi del web, allo studio della presenza delle religioni in rete. Pubblicato solo nello scorso gennaio, il lavoro di Vecoli ricostruisce la nascita di un campo di studi avviatosi, negli Stati Uniti, già dagli anni Ottanta, da quando la Chiesa metodista creò il primo servizio di newsletter, dedicato all’informazione religiosa dei fedeli. Da allora la presenza della religione in internet è arrivata a raggiungere, oggi, le 83 milioni di pagine web contenenti la parola “God”. Il primo articolo dedicato all’argomento uscì negli Usa, nel 1996, The Unknown God of the Internet (Cfr. “The Unknown God of the Internet: Religious Communications from the Ancient Agora to the Virtual Forum”, in Ess, 1996), ma gli autori, Stephen O’Leary e Brenda Brasher sostenevano che il web fosse solo da supporto all’attività quotidiana delle istituzioni religiose. Nel 1998, invece, la teologa Jennifer Codd, pubblicando il libro Cybergrace (Cobb, 1998), lanciò l’idea di internet come “tempio elettronico”, ossia come un nuovo luogo in cui l’uomo poteva esperire la propria religiosità. Bisognerà comunque attendere il 2000, con l’articolo Online religion/Religion-online and Virtual Comunitas, di Cristopher Helland (2000), per vedere gettate le prime basi di un vero approccio scientifico all’argomento, che partono da una prima differenziazione tra “religion online” e “online religion”.
Suddivisione dalla quale prende le mosse anche il lavoro del Professor Vecoli. Con il termine religion online, si fa riferimento a tutte le religioni storiche (Cristianesimo, Ebraismo, Islam, etc.) che utilizzano internet come uno mero strumento di comunicazione, senza subire cambiamenti rilevanti nella dottrina e nelle pratiche. Vecoli evidenzia le difficoltà che le religioni tradizionali trovano nell’adattarsi al nuovo strumento di comunicazione: nel mondo islamico l’uso di internet resta molto limitato sia a causa delle problematicità tecniche legate al territorio, sia per la difficile situazione socio-economica, che permette solo a un ristretto numero di persone di poter accedere alla rete; come per l’Islam, anche per l’Ebraismo, i siti religiosi danno prevalentemente al “religionauta” l’opportunità di confrontarsi con l’autorità (ask.rabbi), offrendo, oltre al conforto religioso, risposte e indicazioni su comportamenti rituali, religiosi e morali, mantenendo quindi relazioni strutturate gerarchicamente, uguali a quelle che si potrebbero riscontrare nella realtà offline. Sia per il mondo islamico che ebraico, secondo Vecoli, internet, favorendo il consolidamento delle comunità religiose online, ostacola quel processo di adattamento naturale che nella realtà offline favorisce l’interculturalità, contribuendo così a un radicamento delle identità religiose. Il mondo cristiano virtuale, invece, considera internet come uno dei tanti risultati del percorso evolutivo umano, utili all’evangelizzazione, ma che non sostituiscono le pratiche reali e quotidiane del fedele. Nonostante la linea principale che detta le modalità con cui le istituzione cattoliche devono utilizzare il web resti quella indicata nel documento Chiesa e Internet, elaborato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il panorama cristiano sul web è decisamente variegato. Citando solo alcuni esempi riportati da Vecoli: in rete è possibile trovare la “Church of Fools” , “la prima chiesa 3D online”, che come in un videogame, offre all’utente la possibilità di crearsi un proprio avatar per interagire con altri utenti, mentre compie il proprio cammino spirituale, aggirandosi negli ambienti virtuali di una chiesa; anche nel videogioco World of Warcraft, ci sono i battisti impegnati nell’evangelizzazione, come i gesuiti in Second Life.
L’espressione online religion, invece, mette al primo posto la necessità di essere connessi. La rete diviene determinante per l’esistenza stessa dell’esperienza religiosa. Internet non è solo uno strumento di comunicazione, ma genera un ambiente all’interno del quale si struttura la religiosità. A fare parte di questa categoria sono i nuovi movimenti religiosi (NMR) nati sulla rete, come ad esempio il “Matrixism”, fondato nel 2004, ispirato al film dei fratelli Wachowski, che, come alcune religioni storiche, ritorna alla dottrina dell’eletto, destinato a salvare l’umanità; o lo “Jediism”, movimento nato sempre sul web nel 2001, ispirato dal film di George Lukas, Star Wars, il movimento è privo di una gerarchia, e si ispira al taoisimo e all’etica cavalleresca orientale. Nel 2009, il Canada ha riconosciuto ufficialmente la prima comunità Jedi. Soprattutto per quanto riguarda i NMR, la comunità scientifica si interroga sugli effetti che la natura anarchica e incontrollabile di internet possa avere su questi nuovi tipi di fenomeni. Il case study riportato da Vecoli è quello della prima cybersetta, la Heaven’s Gate, nota alle cronache per il suicidio, avvenuto nel 1997, di 39 dei suoi adepti, che si tolsero collettivamente la vita credendo che, il coincidente passaggio della cometa Hale-Bopp, avrebbe trasportato le loro anime su un altro pianeta; a sorprendere fu, infatti, anche la facilità con cui il gruppo organizzò l’evento tramite un semplice scambio di email.
Come Helland, Vecoli specifica che la distinzione tra online religion e religion online non deve essere intesa in senso radicale, poiché esistono fattispecie che vanno oltre la semplice dicotomia, come nel caso della diocesi di Partenia. Il vescovo Jacques Gaillot un tempo titolare della diocesi di Evreux, a seguito di alcune sue dichiarazioni in tema di immigrazione, omosessualità e contraccezione, risultate scomode alle gerarchie ecclesiastiche, fu chiamato a Roma e, una volta rimosso dalla sua diocesi, venne nominato vescovo di Partenia, località della Mauritania sitifiana, scomparsa dal IV secolo. A seguito del suo allontanamento dalla Curia, Gaillot decise di creare la sua diocesi virtuale, Partenia.org, disponibile su internet in sette lingue differenti, e che ogni giorno con una vivace comunità, continua a discutere su temi di attualità religiosa e non.
Lo sbarco della religione sul web ha ovviamente aperto una profonda riflessione anche sulla ridefinizione degli elementi fondanti del concetto di religiosità, come la comunità, l’autorità, spazio-tempo sacro, e il rito, che hanno bisogno dei essere riadattati alla natura multiforme e variabile della rete.
Come evidenziato da Vecoli, infatti, la struttura stessa di internet mette fortemente in crisi sia il concetto di autorità, che quello di autenticità dell’esperienza religiosa. Basandosi infatti su un piano di relazioni orizzontali e su una comunicazione “many-to-many” (Castells, 2001), caratterizzata, tra l‘altro, dalla possibilità di nascondere o di falsare la propria identità, il web favorisce la presenza all’interno di un gruppo di “comportamenti emergenti”, piuttosto che di veri e propri centri d’autorità, sui quali, al contrario, si basa la struttura delle religioni storiche. Per quanto riguarda l’autenticità, invece, nonostante gli iniziali scetticismi degli studiosi su quanto possa essere considerata autentica un’esperienza religiosa mediata da schermo e tastiera (“disembodiment”), si sta facendo sempre più strada l’idea che l’ambiente virtuale sia in grado di coinvolgere completamente l’utente sia dal punto di vista emozionale che intellettivo, tanto da poter parlare di “virtual embodiment” (Ajana, 2005). Il web viene considerato, quindi, come un’estensione delle capacità percettive dell’internauta, potenziate dall’assenza della componente fisica. Mancando dell’esperienza corporea e della linearità delle relazioni reali, anche il concetto di comunità sul web, si differenzia da quello offline. La rete permette, infatti, un’accelerazione nella costruzione e nel logoramento dei rapporti, rendendo così più debole il sentimento di solidarietà e attaccamento al gruppo sociale. Sia nel caso dell’autorità che della comunità, Vecoli sottolinea, dunque, che spetta alla scelta personale dell’utente sia il riconoscimento di una fonte di autorevolezza, che la decisione di appartenere a uno specifico gruppo sociale, cosa che al contrario nelle religioni offline è dipendente da prescrizioni socio-culturali.
Ugualmente, anche la definizione di “spazio-tempo sacro”, e di “rito” online, si deve far risalire alla volontà dei religionauti. Affinché un rito si compia su internet risulta, infatti, indispensabile l’istantaneità della connessione tra l’utente, che compie il rituale, e il resto dei celebranti. Nonostante in internet si possano ritrovare riferimenti spazio-temporali che derivano da leggi fisiche reali, determinare quali siano lo spazio e il tempo che distinguano l’attività rituale online da tutte le altre, diventa quasi impossibile in un contesto virtuale che originariamente si presenta come “deterritorializzato”; quindi, anche in questo caso, la scelta di uno spazio e di un tempo da dedicare al rito diventa il frutto di una decisione arbitraria, stabilita dallo stesso religionauta.
La religione ai tempi del web, oltre ad aprire la strada ad un nuovo campo di studi in Italia, propone anche una riflessione sulle nuove modalità di vivere la fede nell’epoca della secolarizzazione e del “sacro sé” (Giordan, 2006). Lo spostamento della fede su internet potrebbe, infatti, colmare la perdita di influenza delle istituzioni religiose e del sentimento religioso in generale, permettendo al religionauta di vivere la propria spiritualità “su misura” (Pace, in pubblicazione), adattandola dunque alla forte componente di autoreferenzialità tipica delle società contemporanee. D’altronde la rete per Vecoli è il simbolo della cultura contemporanea, che presenta alcune “caratteristiche attribuite all’universo dalle scienze moderne cosmologiche scientifiche: assenza di centro, relatività di ogni riferimento spazio temporale, multidimensionalità, complessità e caos (…) - che - assommando in sé l’incomprensibilità del cosmo e il conferimento di senso proprio dell’uomo, diviene per alcuni il nuovo luogo della trascendenza” (Vecoli, 2013, p. 143).