David Ceccarelli
Quando nel 1858 Charles Darwin inizia a riassumere Natural Selection, l’opera che avrebbe dovuto raccogliere la grande mole di riflessioni sino a quel momento elaborate dal naturalista inglese, egli opta per una strategia didascalica ben precisa, e cioè l’introduzione della complessa dialettica fra variazione e selezione nella sua dimensione più quotidiana e accessibile: lo stato domestico e la selezione artificiale. Di lì a poco, quel compendio sarebbe diventato l’opus magnum darwiniana, On the Origin of the Species (1859), mentre quella scelta dal chiaro intento divulgativo si sarebbe materializzata nel primo, celebre capitolo del volume. Scelta che sembra aver ispirato il nuovo lavoro di Gregory Chaitin.
In Darwin alla prova, testo pubblicato in Italia da Codice edizioni e distribuito nel marzo 2013 con il mensile Le Scienze, il matematico americano professore all’Universidade Federal do Rio de Janeiro e all’Università di Buenos Aires, noto soprattutto per i suoi contributi nell’ambito della teoria dell’informazione algoritmica, si spinge là dove pochi sono riusciti, e cioè verso la formulazione di un modello formale in grado di descrivere in termini essenziali la “divergenza con modificazioni per selezione naturale”. Nel farlo, Chaitin cavalca l’analogia tra processo naturale e processo artificiale, esemplificando l’evoluzione casuale del Dna, altresì ribattezzato “software naturale” e “linguaggio di programmazione universale”, attraverso l’evoluzione casuale del software artificiale, vale a dire di quei programmi informatici capaci di ‘simulare’ organismi sottoposti a pressioni selettive. Il risultato si traduce nella seguente formulazione matematica:
⅀ ksn*K(Logk)² ≤ tra N² e N³ “Questo – spiega Chaitin – è il modello più semplice che posso concepire in cui sia possibile dimostrare che l’evoluzione funziona. È il mio tentativo di estrarre l’essenza matematica della teoria di Darwin” (Chaitin, 2012; trad. it. 2013, p. 69). Per formulare una legge generale della teoria darwiniana nel quadro dell’informazione algoritmica, il matematico sottopone i suoi software artificiali a variazioni casuali misurando i relativi tempi di raggiungimento della fitness. Considerato un programma P, spiega l’autore, maggiore è il numero calcolato da esso, maggiore sarà la sua fitness. Introducendo mutazioni casuali , P può raggiungere una fitness maggiore e, laddove ciò avvenga, sostituire l’organismo P originario. Il comportamento dell’organismo artificiale, dunque, apparirà sostanzialmente stocastico, descrivendo di fatto quella che in matematica viene definita “passeggiata aleatoria”. Una ‘passeggiata’, sottolinea più volte Chaitin lungo la sua trattazione, nello spazio di tutti i possibili programmi P, la quale, a ben vedere, si rivela in salita, proprio perché l’obiettivo è quello della fitness crescente. Ciò che colpisce l’autore, però, è il risultato ottenuto dal suo stesso lavoro. Osservando un processo di evoluzione casuale cumulativa di un software, «la vera evoluzione darwiniana» (ivi, p. 54), il raggiungimento della fitness si ottiene in un tempo compreso tra N² e N³. Conclusione di per sé poco esemplificativa, se non fosse che all’interno di due regimi evolutivi totalmente diversi (il “Progetto intelligente” che compie le migliori scelte possibili e la “Ricerca bruta esaustiva” che tenta organismi a caso senza considerare l’organismo in input) i tempi di fitness risultano rispettivamente N e 2ᴺ (il primo basso, il secondo estremamente alto). Ciò, spiega Chaitin, significa che «l’evoluzione casuale cumulativa è molto più vicina al progetto intelligente di quanto lo sia alla ricerca esaustiva. Questo è il nostro Hauptsatz, il nostro teorema principale, e per esso affermiamo che il nostro modello evolve e quindi è vivo» (ivi, p. 55).
Il prototipo in scala descritto da Chaitin ci dice che l’evoluzione è visibilmente più vicina ai tempi richiesti da ciò che lui denomina ‘Progetto Intelligente’ (l’evoluzione più rapida possibile ottenibile attraverso la scelta di un’ideale successione calcolabile di mutazioni, tale da far crescere la fitness rapidamente) rispetto alla mera ricerca ergodica, la quale prende in analisi l’intero spazio dei possibili organismi:
Non è affatto quello che accade nella vera evoluzione: il genoma umano ha basi, ma in quattro miliardi di anni la biosfera è stata in grado di provare solo una frazione infinitesimale del numero astronomico corrispondente a tutte e possibili sequenze di Dna di quella lunghezza. L’evoluzione non è certo ergodica (ivi, p. 68).
Il framework epistemologico all’interno del quale si muove Chaitin in Darwin alla prova è quello della metabiologia, ovvero l’indagine matematica dei sistemi biologici. Una disciplina, spiega l’autore nella breve prefazione del testo, con appena tre anni di vita, ma che in realtà affonda le sue radici nel pensiero matematico dei primi decenni del Ventesimo secolo, passando per gli studi sull’intelligenza artificiale e arrivando a coinvolgere il paradigma della biologia evolutiva dello sviluppo (l’evo-devo). Per Chaitin, capire matematicamente la biologia è anzitutto possibile solo se si ci si affida ai modelli della matematica algoritmica discreta postmoderna: da Gödel a Turing, attraversando il lavoro di Emil Post e, soprattutto, di John von Neumann. Fu proprio il grande matematico di origine ungherese, sottolinea Chaitin, ad esercitare forti influenze sulla nascita della biologia molecolare durante la metà del Ventesimo secolo, avendo di fatto influito sul lavoro di Sydney Brenner, colui che insieme a Francis Crick dimostrò la struttura a triplette del codice genetico nel 1961 (cfr. Watson, Berry, 2003; trad. it. 2012, p. 86). In particolare, a colpire Brenner fu il von Neumann del 1951 nell’articolo sulla riproduzione degli automi intitolato The General and Logic Theory of Automata (cui Chaitin, non a caso, dedica l’appendice del volume). Sono questi, dunque, i nomi che “hanno aperto una porta tra la matematica e la biologia” fornendo gli “strumenti concettuali necessari” (cfr. Chaitin, op. cit., p. 41 ) per un nuovo campo d’indagine.
Le scienze biologiche si occupano di informazione, informazione in senso specificatamente algoritmico. E questo perché, secondo l’autore, il Dna è il software per eccellenza: un linguaggio di programmazione, presente in ogni cellula del nostro corpo, cresciuto per accumulo progressivo nel corso di milioni di anni e capace di mettere insieme le istruzioni necessarie per costruire e far funzionare un organismo.
Il nostro corpo è pieno di software antichissimo. Abbiamo delle subroutine che derivano dalle spugne, altre dagli anfibi e dai pesci. C’è uno stadio della gestazione in cui l’embrione umano ha le branchie! Ogni cellula contiene una copia completa di questo software, nonché l’intera storia dell’organismo, perché l’evoluzione apporta delle modifiche minime, cerca di cambiare il meno possibile, proprio come nei grandi software sviluppati dagli umani (ivi, p. 21).
Attraversando la lecture evo-devo del biologo evoluzionista americano Neil Shubim in Your Inner Fish (2008), Chaitin elabora la teoria metabiologica del software artificiale in evoluzione, e cioè una semplificazione matematica della vera evoluzione, “forse abbastanza per dimostrarne i teoremi, per capire con precisione che cosa succede e come funziona” (ivi, p. 22). Le forme di vita in evoluzione nel «mondo pitagorico della matematica pura» non si spiegano con le equazioni differenziali newtoniane, né con l’analisi. Esse sono indagabili nel quadro della matematica algoritmica, e solo se ‘epurate’ da tutto ciò che non è strettamente ‘software’: metabolismo, energia, corpo (inteso come hardware), ruolo del sesso e delle popolazioni. “La strategia per rendere matematica la biologia” (ivi, p. 13) deve necessariamente rendere conto della biologia stessa: troppo caotica, troppo lontana dalla matematica, troppo ricca di eccezioni. Chaitin, lavorando sul software artificiale, punta in realtà al Dna, dimostrandone la creatività intrinseca e l’evolvibilità per selezione naturale: un’astrazione matematica che, sotto molti aspetti, prende corpo dall’influenza del ruolo dominante dell’informazione genomica nell’opera di Richard Dawkins (cfr. ivi, p. 62). Se si vuole dunque mettere matematicamente alla prova Darwin, secondo Gregory Chaitin è necessario ricorrere ai modelli offerti dalla teoria dell’informazione. Lo ‘scandalo’ da lui denunciato, e cioè l’assenza di una dimostrazione matematica dell’efficienza della teoria evoluzionistica a centocinquanta anni dalla sua formulazione, può risolversi proprio nell’orizzonte metabiologico. Chaitin mette le cose in chiaro sin dalle prime battute di Darwin alla prova: le prove empiriche nei confronti della teoria evoluzionistica ci sono e sono importanti. Quello che manca, però, è un’espressione analitica in grado di catturarne l’essenza, capace cioè di consolidare le fondamenta della theory attraverso il valore epistemico proprio di quelle ‘verità a priori’ care a Kurt Gödel . Nonostante alcuni utili modelli matematici sviluppatisi nel corso del Ventesimo secolo , l’autore sottolinea come non si sia ancora trovata una dimostrazione formale capace di descrivere la ‘creatività biologica’ e la provenienza di nuovi geni:
Purtroppo la genetica delle popolazioni definisce l’evoluzione come una serie di variazioni nelle frequenze dei geni all’interno di una popolazione provocata dalla competizione o dalle pressioni selettive dell’ambiente. Il pool genetico è finito, quindi la creatività è assente (ivi, p. 25).
A ben vedere, Gregory Chaitin muove proprio dall’esigenza di offrire alle prospettive biologiche una base solida in termini matematici, sottraendo la teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie a tutta una serie di critiche (talvolta anche fermamente antievoluzioniste) sviluppatesi nel tempo, atte per lo più a cavalcare l’assenza di una ‘legge generale’ dell’evoluzione, dunque imputando alla theory la mancanza di un ‘requisito di scientificità’ fondamentale. Non a caso, l’autore stesso, ripercorrendo l’iter teorico che lo ha portato alla stesura di Darwin alla prova, intravede alla base della sua metabiologia una reazione intellettuale di fondo:
Lo spunto per creare la metabiologia è stato un libro deliziosamente polemico, The Devil’s Delusion, del mio amico David Berlinski, che offre una critica graffiante del darwinismo e un confronto raggelante tra teorie biologiche e fisica teorica. Darwin alla prova è la mia risposta a David, il mio tentativo di trovare un rimedio (ivi, p. 9).
Chaitin cerca dunque di implementare uno scheletro matematico inedito all’interno della teorizzazione darwiniana, rimanendo tuttavia ben saldo nei confronti di un’ortodossia teista più che dichiarata. Approfondendo le implicazioni teoriche della metabiologia, il matematico precisa infatti:
Voglio sottolineare che la metabiologia non è atea. Per quanto mi riguarda, il tentativo di trovare una bella teoria matematica per la biologia deriva da un impulso religioso: la teologia di Leibniz, secondo cui le leggi del nostro universo devono essere belle perché – questo lo dico io, non Leibniz – il mondo è un’opera d’arte creata da un Dio, che è un matematico. (…) Considero quindi la metabiologia religiosa in questo senso, nel senso di Leibniz e Spinoza (ivi, p. 77).
Un teismo che sembra coesistere col principio di casualità, laddove essa viene interpretata quale fonte di creatività antideterministica, configurando alla base dell’ottica metabiologica una concezione fortemente “plastica” e “aperta” del mondo naturale, tanto da spingere lo stesso autore a riscontrare all’interno del suo lavoro le risonanze de L’Évolution créatrice (1907) di Henry Bergson, dell’opera letteraria di George B. Shaw e del concetto di processualità e di devenir deleuziano (cfr. ivi p. 80). Dall’homme machine di La Mettrie all’homme software di Chaitin, si potrebbe azzardare. D’altronde nelle pagine di Darwin alla prova c’è un evidente, innegabile, nonché cautamente autocritico entusiasmo, frutto di un insperato modello funzionale che nasce da un assunto fondamentale: la vita è un software in evoluzione, e il biologo lavora come l’archeologo del software stesso. Nondimeno, attraversando le argomentazioni del professore (opportunamente accompagnate da corollari, tabelle e dalle bellissime illustrazioni tratte da Kunstformen der Natur del biologo tedesco Ernst Haeckel) resta da capire quanto la neonata metabiologia, dal canto del suo «promettente» punto di vista matematico, possa effettivamente contribuire alla ‘vera’ biologia. Dopotutto è lo stesso Chaitin, terminata la prima esposizione del suo modello teorico all’interno del capitolo quarto, a frenare ogni prematura forma di esaltazione:
È solo il primo passo nella direzione di una teoria generale e astratta dell’evoluzione e della creatività biologica, ma di solito il primo passo è quello più difficile. Il problema consiste nel trovare concetti che colgano le questioni fondamentali e che funzionino matematicamente. Quindi ripongo una certa speranza in questo modello. All’inizio ero euforico, ma adesso la sensazione prevalente è di cauta speranza. Chi vivrà, vedrà. Confesso che questi risultati suonano un po’ strani anche a me. Dopotutto, sono delle novità, è un campo interamente nuovo. Ci vorrà un po’ per capire se stiamo prendendo un abbaglio o se veramente c’è qualcosa. Sono convinto che qualche modello di software in evoluzione funzionerà (ivi, p. 56).