Giorgio Stabile
Si tratta di un libro dedicato dall’autrice, con passione intellettuale e finezza di scrittura, all’atelier nel suo significato più antico e più ampio, quello cioè di laboratorio in cui il maestro d’arte impegna manualità e pensiero, fatica corporea e tensione mentale, nello “studio” e dunque nel “desiderio” di lasciare memoria di sé nel mondo, incidendo nella materia un segno con uno strumento che ubbidisca al suo gesto e alla sua parola, sia esso uno scalpello o un archetto, un pennello o una penna. L’incessante ricerca di un atelier e di uno studio si rivela come ricerca di un ambiente che sia proiezione di sé e protezione del sé. Una proiezione dello spazio mentale nello spazio fisico che l’autrice individua acutamente nella ricerca di un confine a due facce: esterna di protezione e interna di espressione. Confine esterno che, capovolto e bifronte come l’uscio, diviene luogo di selezione e di passaggio che immette in uno spazio interno di creazione e di dominio – dionisiaco o apollineo che sia –, un dominio comunque preclusivo e assoluto come quello del bambino nella stanza dei giochi. È la perenne richiesta di una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, che l’Orsini ripercorre con un raffinato itinerario tra filosofia, letteratura e arte.
Non a caso Elisabetta Orsini si è laureata in filosofia all’Università La Sapienza di Roma su un tema che di recente, e con tenacia, ha fatto riemergere nel volume Buffon. Geometria e stile (Lithos editore, Roma, 2012). Ciclo di studi che ha concluso in Francia, presso l’Université Charles de Gaulle - Lille 3, dove ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Letterature Romanze con una notevole thèse de doctorat in due ponderosi tomi, di cui il volume che si presenta riassume felicemente e integralmente l’essenza. Numerosi peraltro i saggi pubblicati su riviste nazionali e internazionali.
È proprio valendosi di uno stile opposto a quello erudito e accademico, e dunque leggero e profondamente colto, che la Orsini migra irrequieta da una metamorfosi all’altra del pensare arricchendo la sua analisi di nuovi connotati, mai riducibili ad una sola, univoca rappresentazione.
Un’eleganza di pensiero che è insieme causa ed effetto della sua propensione non per le mode ma per lo stile di pensiero francese, che risalgono ai primi studi universitari su Buffon e Descartes, filosofo al quale, in una Appendice finale e di nicchia, l’autrice dedica il significativo saggio “L’atelier di Monsieur Descartes”.
Del resto il mondo della letteratura e della saggistica francese costituisce per lei una guida privilegiata: dalla Recherche di Proust, ai Cahiers di Valéry, al Journal di Gide, da Montaigne a Balzac fino a Deleuze o alle contaminazioni di Alberto Savinio. Ma altrettanto acute e inaspettate sono le incursioni e le prospettive di lettura nella letteratura e saggistica europea da Calvino a Kafka, da Rilke a Hesse, da Benjamin a Nietzsche o di artisti come Miró, Bacon, Matisse, Picasso e molti altri ai cui ateliers, a risarcire del maggior spazio dedicato allo studio degli scrittori, è dedicata una bellissima serie di illuminanti immagini che occupano un terzo del volume.